Sulla valutazione
Perché è così difficile valutare il comportamento di una persona e i risultati che ottiene
Valutare i risultati e il comportamento di una persona è un’attività difficilissima. Lo è in campo scolastico e, su piani diversi, nell’ambito di una moderna organizzazione imprenditoriale o pubblica. Peraltro, valutare è necessario. Non è possibile esimersi dal valutare, a meno che non si auspichi una realtà nella quale le persone non sono responsabili di ciò che fanno e non esiste alcuna differenza tra chi cerca di svolgere al meglio il proprio compito e chi invece non lo fa o, addirittura, evita ogni tipo di responsabilità e impegno. Tuttavia, perchè la valutazione sia realmente efficace è vitale tenere presente alcuni elementi essenziali. Ne parlavo nel mio saggio Alla ricerca del buon management. Vorrei in questa sede sottolineare soprattutto due aspetti: la retroazione presente in ogni processo di valutazione e la qualità delle misure usate per valutare.
Misurare induce una retroazione
È un concetto che ripeto spesso perché mi pare proprio non sia compreso da troppe persone: valutare induce una retroazione. La valutazione avviene quando un soggetto osserva e valuta per l’appunto il comportamento di un altro soggetto. Questo processo non avviene in “anello aperto”: la valutazione, se nota nelle sue dinamiche e caratteristiche al soggetto osservato, inevitabilmente lo condiziona e lo porta ad agire in modo diverso, “forzandolo” ad adeguare le sue azioni al meccanismo di valutazione. Se un docente è premiato quando la percentuale di studenti promossi è alta, tenderà anche inconsciamente ad abbassare i criteri di valutazione. Se un manager è premiato quando non fa errori e punito quando li commette, tenderà inevitabilmente a non assumere rischi o responsabilità, e a non discostarsi da procedure ben formalizzate e definite. Se un amministratore delegato e un consiglio di amministrazione sono premiati dagli azionisti solo in base ai risultati economico-finanziari ottenuti nel corso dell’anno, inevitabilmente verranno indotti a porre minore attenzione sugli investimenti di medio-lungo periodo e a privilegiare i risultati della trimestrale. Anche quando considerassimo persone virtuose che non si lasciano condizionare in modo negativo da un criterio di valutazione che giudicano sbagliato o distorcente, non comprendere che un sistema di valutazione induce una retroazione può portare a gravi errori manageriali ed ad ottenere risultati ed effetti molto diversi da quelli ipotizzati, se non addirittura controproducenti.
Per affrontare questo tema correttamente, è vitale concentrarsi soprattutto su quali siano i comportamenti che si vuole incentivare e quali, al contrario, combattere. È su questo equilibrio che si deve costruire un sistema di valutazione realmente capace di ottenere i risultati attesi.
Le qualità di una misura
Tutti siamo portati a preferire valutazioni di tipo quantitativo e non solo qualitativo. Giustamente, una valutazione di tipo qualitativo è inevitabilmente legata alle percezioni del valutatore, mentre una valutazione di tipo quantitativo ha, almeno sulla carta, il pregio dell’obiettività.
In realtà, le cose sono più complicate di così. Perché una misura quantitativa sia realmente efficace devono valere una serie di condizioni. Ne ricordo qui due che reputo essenziali:
Una misura deve sottendere un processo nel quale il soggetto valutato abbia realmente modo di influire in modo diretto e chiaro sul valore misurato. Valutare un neoassunto (anche solo parzialmente) sulla base dei risultati aziendali ottenuti (per esempio, EBITDA > 15%) è sbagliato in quanto raramente (quando mai?) un neoassunto ha modo di incidere sui risultati dell’impresa. Quel tipo di misura sarà certamente appropriata per l’Amministratore Delegato o anche un manager di primo livello, ma non per un giovane con scarse – se non nulle – leve decisionali.
Una misura deve essere non ambigua e realmente valutabile, cioè deve essere determinabile in modo ragionevolmente univoco. Per esempio, valutare un manager sulla base del fatto che un sistema informatico funzioni “senza major problems” è ambiguo: chi determina cosa renda un problema “major”, qual è la soglia, quando tanti problemi “minor” sono equivalenti ad uno “major”? Una valutazione quantitativa ha senso e deve essere fatta, ma considerando misure “non ambigue”.
In realtà, molto spesso l’unico modo di valutare i comportamenti di un professionista è quello basato su elementi di tipo qualitativo. Ciò espone a rischi e anche abusi, ma se interpretato correttamente permette una reale valutazione del contributo di una persona. Perché ciò avvenga, da un lato è comunque necessario prevedere, laddove possibile, alcuni indicatori di tipo quantitativo che offrano alcuni riferimenti ragionevolmente obiettivi; dall’altro, è vitale prevedere la definizione ex-ante dei principi, degli obiettivi e dell’intento secondo i quali si intenderà valutare, anche qualitativamente, il comportamento e i risultati conseguiti da una persona.
Non ci sono scorciatoie: alla fine, la capacità di valutare correttamente i propri collaboratori non può essere delegata a quale numerello calcolato in modo automatico, ma risiede nella costruzione di un rapporto schietto e trasparente tra valutatore e valutato.
Condivido pienamente. Esiste solo un rapporto di vero affidamento tra entrambe le parti. O si stima il proprio valutatore e lo si vede come mentore veramente coinvolto nel proprio percorso di crescita e feedback altrimenti non esiste un processo valutativo in grado di soddisfare il proprio team, diventa un puro numero al fronte del quale mi aspetto sono un futile reward possibilmente economico, svilendo completamente il rapporto. Dall’altra parte essere valutatore significa dedicarsi in modo assoluto alla crescita di chi si affida, mostrando l’animo umano e la possibilità anche di errore ma su una base di inequivocabile trasparenza e buona volontà.
Grazie per lo spunto di riflessione. Valutare ed essere valutati presuppone regole di 'ingaggio' chiare e condivise basato su un rapporto trasparente e di reciproca fiducia. Credo inoltre che questo rapporto non possa prescindere da un chiaro senso di responsabilità condivisa nel voler costruire e mantenere una comunicazione efficace su cosa ci si aspetta e in che modo si possa contribuire fattivamente al successo personale e dell'organizzazione. In questa ottica anche l'errore può venire analizzato e inquadrato in una prospettiva di miglioramento e accrescimento del proprio background culturale e personale.