Ho letto diversi romanzi di Ian McEwan. Capisco possa apparire strano, ma dovrei dire che mi piacciono e al tempo stesso non mi piacciono o, quanto meno, mi lasciano quasi sempre un po’ di incertezza, dubbio, insoddisfazione. Più o meno un anno fa avevo letto Lezioni e quando lo finii scrissi un breve commento su Goodreads che lasciava trasparire questa sensazione, anche se assegnai al romanzo cinque stelle:
Ho impiegato molto tempo a leggere questo libro. La prima parte mi è parsa lenta, involuta. Ma la seconda mi ha conquistato. Il viaggio di una vita, un percorso attraverso la natura umana e la storia di questi decenni. Splendido.
Poi l’instancabile lettrice compulsiva
mi ha regalato per il mio compleanno Macchine come me e con colpevole ritardo l’ho letto.È un romanzo che ovviamente mi intriga molto visto il tema che discute. In un universo parallelo dove Alan Turing è ancora vivo e Margareth Tatcher viene sconfitta alle urne dopo aver perso la guerra delle Falkland, McEwan narra le vicende di una coppia che è “allargata” dall’arrivo di un robot umanoide senziente.
Un primo punto che non mi convince è il contesto narrativo. Se come si può immaginare, il punto del libro è quello di discutere la natura dell’uomo e dell’intelligenza artificiale, il contesto nel quale viene collocato mi pare dispersivo. Perché serviva necessariamente creare un universo alternativo? E certe considerazioni le doveva per forza fare un Turing redivivo? Mi pare una forzatura non necessaria.
Così come mi pare che la narrazione di una serie di vicende che coinvolgono i protagonisti, sebbene funzionali a comprendere la conclusione del romanzo, siano eccessivamente costruite e dettagliate, a scapito di quello che mi pare essere il tema centrale: le macchine hanno sentimenti e come ci giudicano, come giudicano la nostra umanità, i nostri limiti, le nostre miserie, i nostri errori? Questo pensiero emerge in modo chiaro nelle ultime pagine del romanzo e mi pare un peccato non venga sviluppato maggiormente nel corso delle vicende che lo attraversano. Qualcosa traspare, ma non con la forza delle ultime pagine.
Come recita una recensione di Macchine come me che ho letto nei giorni scorsi, nelle sue opere McEwan è molto bravo nel mettere a nudo le nostre debolezze, la nostra ipocrisia e anche la nostra cattiveria più o meno nascosta. Ma in questa storia mi pare si sia perso l’equilibrio narrativo. Avrei cercato di esplorare il tema centrale del romanzo molto prima, magari limitando altri filoni narrativi che alla fine, con questa estensione, mi pare risultino sovrabbondanti.
In ogni caso, da leggere. Mi piacerà sentire i vostri commenti e le vostre opinioni.
L’ho trovato anche io un po’ dispersivo. A metà libro, quasi si “perde di vista” il robot Adam per spostare l’obiettivo sulle vicende personali degli altri due personaggi… umani. Ma alla fine, non so quasi per quale motivo recondito, mi sono innamorato di questo libro e ho quasi “giustificato” questa divagazione da parte dell’autore. Perché, in fondo infondo, quella divagazione è umana e nel confronto uomo-macchina del libro, rappresenta la contrapposizione del carattere umano (l’autore) nei confronti della nostra (lettore) “perfetta” voglia di avere una storia perfetta nella sua trascrizione.
Il finale e la disarmante lucidità, la perfetta e plastica, etica di Adam fa cadere l’uomo nel suo stesso errore. Geniale
I romanzi di McEwan sono sempre interessanti e questo, da quello che dici è anche intrigante. Azzardo un'ipotesi riguardo al contesto (senza aver letto ancora il libro), forse per poter parlare di un robot umanoide senziente in modo credibile McEwan ha sentito il bisogno di inserirlo in un contesto in cui questo fatto possa essere considerato normale. Anche Carol Oats, che non è riconosciuta come scrittrice di fantascienza, in "Hazard in Time Travel" ipotizza una realtà distopica per inserire la protagonista in modo, secondo lei credibile. Comunque dopo averlo letto potro saperne di più. Grazie