Leggere per risvegliarsi
Ipnocrazia, un libro che come tanti è una occasione per conoscere, riflettere e confrontarsi
Sul libro “Ipnocrazia, Trump, Musk e la nuova architettura della realtà”, edito da Tlon e frutto della collaborazione tra persona e AI generativa, si è scritto molto in questi giorni. Sia in termini entusiastici, quale meraviglioso esperimento del filosofo (apparentemente traduttore nel libro) Andrea Colamedici, sia in termini distruttivi, una “bufala”, secondo alcuni, che rompe il patto di fiducia tra chi scrive e pubblica libri e chi li legge (o anche solo li sceglie per la libreria del salotto). Devo confessare di aver comprato (e letto) Ipnocrazia e di non essermi pentita: ritengo che i libri possano sempre portarci in un posto che non conosciamo, vedere le cose con una lente diversa (e anche se la lente è quella di una persona che lavora per scrivere insieme a una macchina è interessante indossarla per il tempo della lettura). Non mi sono sentita tradita, né offesa. Sicuramente arricchita, come ogni volta che leggo qualcosa di nuovo (anche quando non mi piace o quando so che probabilmente l’autore o l’autrice ha un ghost writer anonimo che nessuno mai conoscerà).
Anche io, come ha scritto Alberto Puliafito nella sua newsletter The Slow Journalist, credo che la scrittura sia un atto collettivo sempre. “Anche adesso che finisco di aggiustare questa newsletter, per esempio, le singole parole che scrivo sono contaminate dai confronti continui con le persone che frequento e che leggo, da idee che ho intercettato e non so nemmeno più attribuire”.
Quello che ho trovato interessante del libro, seppur non nuovo, sono alcuni passaggi riferiti, appunto, al nostro stato ipnotico di fronte a nuovi strumenti tecnologici.
“L’ipnocrazia è il primo regime che opera direttamente sulla coscienza. Non controlla i corpi. Non reprime i pensieri. Induce, piuttosto, uno stato alterato di coscienza permanente. Un sonno lucido. Una trance funzionale”.
Il libro inizia così e si sviluppa intorno a questo concetto in tutte le altre poche pagine che seguono. Con alcuni passaggi che a mio avviso ci fanno riflettere e ci aiutano a costruire quel dibattito intorno alle cose che non riusciamo più a fare (non necessariamente per colpa del digitale). Per esempio quando si dice che:
“Trump e Musk sono i profeti di questo regime (ipnocratico, ndr). Non sono semplicemente figure di potere: sono dispositivi narrativi. Le loro narrazioni non cercano la verità, ma lo stupore […] Non mirano a convincere, ma a incantare. Non sono semplici manipolatori: sono i primi e più profondi credenti nei loro stessi incantesimi”.
Quante volte ci siamo chiesti come tante persone si sono fatte incantare non solo da questi personaggi ma da molti altri vicini e lontani? Quante volte ci siamo domandati perché esista quella che in Ipnocrazia è definita la “politica dello scroll infinito”, uno stato che ci porta a essere costantemente informati sulle ingiustizie del mondo, restando assolutamente distaccati dai modi per combatterle materialmente?
“Sappiamo più che mai cosa c’è di sbagliato nel mondo, ma questa conoscenza porta alla paralisi e non all’azione”.
In conclusione, questo libro, come scrivono benissimo Matteo Roversi e Paolo Gervasi in Futuri Preferibili, ci è servito. Se non altro ci ha aiutato a ricordare che la verità non può servircela nessuno su un piatto d’argento, la dobbiamo cercare attraverso la conoscenza, il dibattito e il confronto. Come scrivono Roversi e Gervasi, “Harari ci ricorda che l’informazione non serve a dire la verità: serve a connettere. E serve ad agire. Per connetterci, collaborare e agire non potremo fare a meno della finzione, che è spesso meno costosa, più semplice e più convincente. Allora forse la domanda che dobbiamo imparare a farci non è: “È vero o falso?”. La domanda giusta è: “Ci serve?”. Non ci chiederemo più “chi ha scritto questo testo?”, ma “in che modo questo testo mi cambia?”
Letta così, anche l’operazione Ipnocrazia diventa uno strumento attraverso il quale poterci risvegliare dal quotidiano stato ipnotico in cui spesso cadiamo. Volenti o nolenti.