Disinformazione e odio online, una responsabilità condivisa?
Quando l’hate speech colpisce chi non può più difendersi: una riflessione sulle responsabilità per la diffusa cultura dell'odio
La riflessione sulla responsabilità degli esperti, specialmente rispetto al rischio di una crescente sfiducia nella scienza, mi ha riportato alla mente un evento recente che desidero condividere. Nel mese di novembre è venuto improvvisamente a mancare un caro amico e collega giornalista videomaker, giovanissimo. Durante la pandemia, si era pubblicamente schierato contro il movimento novax, diventando un facile bersaglio sia in vita che, tristemente, dopo la sua morte. Quel movimento ha attribuito il decesso al vaccino che Matteo aveva tanto desiderato e poi difeso con convinzione.
I commenti sotto la notizia della sua morte erano pieni di odio: insulti e livore rivolti a chi non c’era più e a chi provava a ricordarlo con affetto. Ho passato un’intera serata a cancellare centinaia di commenti simili dal mio profilo Facebook, provenienti da estranei che sembravano seguire una narrazione preconfezionata. Mi sono chiesta se le piattaforme social non potessero fare la loro parte per contrastare questa ondata di odio. Con la consapevolezza maturata grazie a un lavoro svolto insieme a un gruppo di esperti con cui avevo lavorato in passato per individuare misure di contrasto all’hate speech, ho deciso di segnalare quei commenti, contrari agli standard della community di Facebook. La risposta della piattaforma è stata disarmante:
“Non abbiamo individuato nulla di contrario agli standard della community”.
Ho ripreso in mano quelle regole, che includono misure specifiche per prevenire disinformazione e incitamenti all’odio legati alla pandemia, e ho ripetuto la segnalazione. La risposta è stata la stessa: nessuna azione possibile. O meglio, la possibilità, qualora non si sia soddisfatti della risposta di Facebook, di rivolgersi a un “Organismo di risoluzione delle controversie”, pagando una commissione per esaminare il caso. Un’azione che temo in pochi faranno, viste le nostre vite complicate e già piene di problemi da risolvere.
Un passaggio nelle linee guida mi ha colpito in particolare:
“Stiamo lavorando per rimuovere i contenuti che potrebbero causare danni nel mondo reale, tramite normative che vietano incitamento all’odio, bullismo, molestie e disinformazione che contribuisce a rischi di violenza o danni fisici imminenti”.
Eppure, quelle parole sembrano rimanere una manciata di bit che nella pratica non trovano applicazione.
Possiamo dire allora che la responsabilità è delle piattaforme? No, non solo. Contrastare l’odio online e la disinformazione richiede un cambiamento culturale e l’impegno di tutti. Non è certo una responsabilità esclusiva degli esperti. Non è colpa dei giornalisti (anche se sono spesso bersaglio facile). E non possiamo delegare interamente il problema ai social network, anche se è innegabile che le piattaforme debbano mettere in pratica le regole che dichiarano di adottare, cercando di costruire uno spazio di confronto libero ma rispettoso.
La soluzione non può essere certo in una nuova legge o soltanto nella tecnologia (magari una Intelligenza Artificiale, vista da molti come panacea): ognuno di noi deve contribuire, nel proprio piccolo, a contrastare la cultura dell’odio. Perché finché non troveremo (e ritroveremo) spazi alternativi meno polarizzanti per un dibattito pubblico aperto, i social rimarranno un luogo importante di confronto. E in questo contesto, la nostra responsabilità individuale e la nostra attenzione alla necessità di informarci, leggere, conoscere e avere un approccio critico ai contenuti ai quali siamo esposti conta oggi più che mai.
Buongiorno, condivido le sue riflessioni sul tema. Mi permetto di aggiungere uno spunto sul tema della ignoranza: il legame tra hate sociale e ignoranza di ciò di cui si tratta è molto elevato. L’effetto Dunning-Kruger amplifica a dismisura la presunzione di chi vuole ‘pontificare’. Se aggiungiamo l’impatto degli effetti nefasti ‘dell’uno vale uno’, temo ci aspetti una strada lunga e faticosa